La Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo, su incarico dell’assessore regionale ai Beni culturali, ha dato inizio alla procedura per la “dichiarazione di interesse culturale” del monumento memoriale di Portella della Ginestra, sito tra Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato. La procedura, che dovrà essere completata entro 90 giorni, è stata avviata ai sensi del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” in considerazione della sua importanza storica e come testimonianza dell’identità e della storia delle istituzioni collettive.
Il memoriale, realizzato tra il 1979 e il 1980 da Ettore de Conciliis, con la collaborazione del pittore Rocco Falciano e dell’architetto Giorgio Stockel, rappresenta un’opera di impegno civile riconosciuta come il primo esempio di “land art” in Italia. Il monumento è un segno significativo del paesaggio e il simbolo della memoria della prima strage mafiosa in Sicilia nel secondo dopoguerra.
Il memoriale si trova nel pianoro sassoso tra il monte Pizzuto e la strada provinciale per San Giuseppe Jato, dove si verificò la strage. Nel maggio del 1947, circa 2.000 lavoratori, principalmente contadini e braccianti con le loro famiglie, si riunirono in occasione della festa dei lavoratori, per manifestare contro il latifondismo e in favore dell’occupazione delle terre incolte, come facevano sin dai tempi dei Fasci siciliani. Dal promontorio sovrastante, il bandito Salvatore Giuliano e i suoi uomini, armati da forze reazionarie e mafiose per fermare il movimento contadino, aprirono il fuoco causando la morte di undici persone (otto adulti e tre bambini) e il ferimento di altre ventisette.
Nel corso degli anni, il monumento si è trasformato in uno spazio pubblico, patrimonio di una comunità che supera i confini del territorio, dove ogni anno si rinnova l’impegno a manifestare per i diritti. Alcuni grandi massi, simili a menhir, posti attorno al “sasso di Barbato”, che prende il nome dal socialista italo-albanese Nicola Barbato, fondatore e dirigente dei Fasci siciliani dei lavoratori, simboleggiano i corpi dei caduti. Un muro a secco taglia trasversalmente lo spazio, riproducendo la traiettoria degli spari. Su uno dei massi sono incisi i nomi delle vittime.
Per la Soprintendenza l’opera ha un carattere unico e si distingue per l’approccio emotivo e la progettualità che rimarca la solennità sacrale del luogo in cui si consumò la violenza. Il valore identitario dell’installazione è esaltato anche dalla scelta dell’artista di coinvolgere l’intera comunità, a partire dalla progettazione e poi con la realizzazione, utilizzando la collaborazione delle maestranze locali per la