Domani, 17 novembre 2023, la Corte d’assise di Palermo presieduta dal dott. Vincenzo Terranova si pronuncerà in primo grado sull’omicidio del giovane trappetese Vincenzo Trovato, ucciso la notte del 12 agosto 2022 sul lungomare Felice D’Anna di Balestrate. Imputato per la morte di Trovato è il castelvetranese Gianvito Italiano.
Nei giorni scorsi l’accusa, guidata dal PM Alfredo Gagliardi, ha chiesto 16 anni e 8 mesi di reclusione per Italiano.
In rappresentanza della comunità trappetese, anche il primo cittadino Santo Cosentino sarà presente in aula per assistere al giudizio in primo grado: «É doveroso – afferma Cosentino – esserci, l’amministrazione lo farà con la mia presenza unita a quella dell’assessore Tommaso Billitteri e del capogruppo di maggioranza Maurizio Alfano, due avvocati che hanno seguito con interesse l’aspetto tecnico del dibattimento processuale. Dal settembre 2022 sul nostro municipio campeggia la scritta “Giustizia e verità per Vincenzo Trovato” ed è questo – conclude il primo cittadino trappetese – che ci aspettiamo domani, una pena esemplare, che certo non colmerà il dolore delle famiglie Trovato e Colombo, ma che possa rispettare la memoria del giovane Vincenzo».
A poche ore dal pronunciamento della Corte, la famiglia di Vincenzo Trovato rompe il silenzio e lo fa con una lettera aperta sulla vicenda processuale di cui pubblichiamo il testo integrale.
Il testo integrale parole della famiglia di Vincenzo Trovato
«Avendo appreso delle ultime notizie riportate dai giornali sul caso di nostro figlio Vincenzo, non potevamo stare nel silenzio e siamo, quindi, costretti a fare alcune precisazioni a tutela della verità e del nostro amato Vincenzo.
Si è letto in certi giornali della richiesta di pena del pubblico ministero a carico dell’omicida di Vincenzo. Tale richiesta è stata influenzata dal fatto che Vincenzo avrebbe provocato il proprio omicida. Il pubblico ministero, infatti, ha chiesto la condanna a 16 anni e 8 mesi per Italiano.
Una pena irrisoria, riteniamo, che ci amareggia e offende la memoria di Vincenzo, ma anche la verità emersa nel processo. Infatti, dal processo non emerge soltanto la provocazione di Vincenzo nei confronti di Italiano. Quella sera la lite è nata dal fatto che Italiano ha frainteso una discussione verbale tra Vincenzo e un suo conoscente, parente di Italiano, che ha affermato lui stesso di aver salutato in modo tranquillo nostro figlio.
Nel frattempo si è intromesso Italiano, per sapere cosa fosse accaduto, e alla risposta rassicurante di Vincenzo sul fatto che la discussione fosse serena, si è scagliato contro nostro figlio aggredendolo con un pugno. Non contento, Italiano si è diretto contro l’amico di mio figlio, che quella sera era uscito con lui per festeggiare l’assunzione di Vincenzo al Nord, picchiandolo senza nessun motivo. Si sono scatenati più momenti di rissa con colpi reciproci. In ultimo Vincenzo si è allontanato.
Quando Vincenzo è tornato, forse per chiarire gli eventi, è sceso dalla macchina con una chiave idraulica.
Ma Vincenzo non si è procurato un’arma, ha preso la prima cosa che gli è capitata, per eventualmente difendersi, tra i diversi attrezzi di lavoro che c’erano in macchina. Lo stesso non si può dire di Italiano che l’arma l’aveva con sé già dall’inizio della serata. Italiano era armato e, anzi, dopo aver dato il coltello al buttafuori, ne è tornato in possesso subito prima dell’ultimo scontro. I Carabinieri hanno potuto appurare che al ritorno di Vincenzo davanti al locale, mentre nostro figlio scendeva dalla macchina, Italiano apriva il coltello, pronto ad usarlo.
Questo è confermato dallo stesso Italiano che, nelle intercettazioni in carcere, confida alla sua famiglia che pensava che Vincenzo avesse una pistola, ma appena si è accorto che non si trattava di una pistola è partito all’attacco.
Come un samurai, dicono lui e la sua famiglia nelle intercettazioni. E ridono. Ridono tra loro della bravura di Italiano a sferrare calci. Ridono di un gesto che ha tolto il sorriso a Vincenzo e a noi tutti. Italiano colpisce Vincenzo con un calcio al petto, che gli toglie il respiro e fa volare la chiave idraulica.
Vincenzo è disarmato, a terra, senza fiato. Italiano lo aggredisce con calci al petto e alla testa, più volte, e lo accoltella, alla fine, con una forza che è brutale. Pochissimi istanti e la vita abbandona il corpo di Vincenzo.
Vincenzo è morto in macchina, accanto la suo amico che correva in guardia medica per salvarlo, tenendolo fermo sul sedile passeggero perché nel frattempo Vincenzo ha perso conoscenza e il corpo sbandava, dissanguato.
Questa è la verità dei fatti, non la verità della nostra famiglia. Quindi è chiaro che la provocazione inizia da Italiano, che si è mostrato aggressivo per tutto il tempo della lite, non è stato soltanto Vincenzo a provocare.
Ecco perché siamo rimasti sbalorditi e frastornati da una richiesta di pena così bassa e così ingiusta rispetto alla brutalità che è stata commessa verso nostro figlio, che è stato ucciso senza nessun motivo.
16 anni di reclusione. Vincenzo ne aveva 22 e ne avrà per sempre solo 22, costretto dentro una bara da un uomo che ha scelto volontariamente di ucciderlo quella notte.
Dalla scorsa udienza non facciamo che pensare a questo: quanto la provocazione può attenuare la gravità di un’aggressione così becera a un ragazzo di 22 anni a terra, colpito alla testa e al petto con calci fortissimi e poi accoltellato in modo così forte da morire in pochi istanti? Saranno la giustizia e la coscienza dei giudici a darci una risposta giusta, perché noi non vogliamo una pena esagerata.
Noi vogliamo solo una pena giusta, che non rovini la memoria di Vincenzo e la dignità della nostra famiglia ormai distrutta. Vogliamo una pena che non uccida Vincenzo un’altra volta, che ci permetta di credere ancora nella giustizia. E i soli 16 anni e 8 mesi, secondo noi, non sono una pena corretta per questo omicidio.»